nos patriae finis et dulcia linquimus arva

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lunedì 12 ottobre 2015

Arrivederci Roma




Dalla tragedia “Ignazio ovvero Il Genovese che si finse Sindaco”

Atto V, Scena IV
(Campidoglio, Sala della Protomoteca)
Ignazio, Sabellio, Orfenio e guardie della Polizia Municipale

Ignazio (stendendo il braccio con il palmo della mano aperta)
“Porgetemi dunque la penna ! Se tale è il fato dei giusti, porgetemi la penna ! Se non soffersi per Roma e con Roma le calunnie dei malvagi, porgetemi voi tutti la penna ! Se inane fu la mia lotta contro la forte possanza del malaffare e dei corrotti in questa città dei sette colli, porgetemi allora quella penna che onta darà ai traditori e a me più degna fine.
(S’accosta alla finestra) Odo la voce degli onesti, forse di un solo onesto, qual son io, che mi vuole ancor signore in questo palazzo”.
Sabellio (sussurrando ad Orfenio)
“Costui davvero mi pare folle”.
Orfenio (anch’egli sussurrando)
“Che lo fosse già quando lo facemmo Sindaco ?”
Ignazio ( a Sabellio)
“Hai veduto, mio dolce amico, quanto lerciume s’ammassa nelle strade ? Hai veduto lo scempio dell’Urbe ? Hai veduto le afflitte periferie ? Ed oltraggia pur me l’opera infida dei miei nemici ?”
Sabellio (avvicinandosi piano ad Ignazio)
“Dammi la destra, e non temere ! Sapranno della tua virtù, ma fuori da qui”.
Ignazio
“Chi m’attende fuori ?”
Sabellio
“Molti dei nostri”.
Ignazio
“Mi sosterranno al fine?”
Sabellio
“L’armi tengon pronte al tuo volere”.
Ignazio
“Al mio volere, che fu sempre quello di Roma”. (Accenna ad uscire insieme a Sabellio, ma poi s’arresta) Ah ! Più duro per me traversare questa sala che i salsi gorghi dell’Oceano intero. Più ingrato lasciar queste mura che i diletti consessi ove non fui mai invitato. Più triste levarmi da questi banchi che da una tavola ove mi costrinsero a pagar per tutti”.
Orfenio (prendendo Ignazio sotto braccio)
“Amaro ricordo rinnoverà per te lo strazio”.
Sabellio (anch’egli accompagnando il Sindaco)
“Vientene con noi ! Ascolta, Ignazio !”
Ignazio (seguendoli con passo prima incerto poi risoluto)
“E al Santo Padre, che mi disprezzò, farò veder chi sarà del gregge suo Padre e Pastor più santo”.
“Sabellio (sottovoce ad Orfenio)
“Portasti con te la penna per firmar le dimissioni ?”
Orfenio (sempre sottovoce)
“E’ qui nella mia tasca. E pure il foglio preparai da tempo”.

(Escono tutti)

domenica 26 luglio 2015

Ab Urbe Condita MMDCCLXVIII


L'idea di modificare la numerazione nella toponomastica stradale, dai numeri romani a quelli arabi o
alle lettere estese, mi sembra solo una frivolezza.
Ma fa rumore, più di quanto ci aspetteremmo, perché è una frivolezza pronunciata al capezzale di una città morente. Quando si prende a scherzare nel mezzo di un contesto serio, se non per alcuni aspetti tragico, poche volte si ottiene un risultato diverso dalla stridente assurdità.
Dal Campidoglio hanno fatto già sapere che la delibera ottempera ad una direttiva dell'Istat, e che la modifica non riguarderà le targhe viarie esistenti, ma solo i nomi nelle banche dati del Comune di Roma.
Tuttavia la scelta di semplificazione, apparente, è l'ennesimo tributo che il nostro paese deve pagare alla sua ignoranza. L'ignoranza non è certo una colpa, ma resta ad ogni modo un male. 
Ed il male si combatte, non si incoraggia. Cedere all'ignoranza per semplificare, per omologare tutto al comune sentire, anche le piccole cose, è la via più breve perché il comune sentire diventi un cattivo sentire, un sentire inconsapevole e cieco. 
Quanti ragazzi di fronte alla dicitura "Pio IX" leggono e leggeranno "Pio ics" ? E noi dovremmo rassicurarli che non c'è necessità di emendare l'errore perché non c'è più necessità di conoscere la corretta dicitura ?
Vorrei vivere in un paese dove l'asticella culturale, già tenuta ferma a livelli molto bassi, non giunga a toccare completamente il suolo.
All'origine della diseguaglianza sociale sta pure la rinuncia alla conoscenza, una rinuncia indotta e condizionata da forme alternative e distrattive di pseudocultura.

Se davvero si vuole educare il popolo (io preferisco parlare di uomini) bisogna offrirgli non solo cultura, e strumenti adeguati per decifrarla, ma anche una giusta motivazione che promuova l'intero processo di apprendimento.

Del resto so bene che spesso non basta una sola vita per imparare. 
E che i sepolcri, altrettanto spesso, sono luoghi pieni di saviezza. 

giovedì 23 luglio 2015

Credo


Rachel Marie Oberlin, meglio conosciuta con il nome di Bree Olson.
Nel 2011, a venticinque anni, ha lasciato definitivamente il mondo del porno, dopo aver girato oltre un centinaio di film: un lavoro, affermava Rachel, assai più divertente di altri.
Un lavoro, io credo, o si prova a farlo bene, anche divertendosi, o non lo si fa per niente. E quel poco o tanto di bene che poteva esserci nel suo lavoro Rachel lo ha compiuto sdraiata su un materasso o sopra un divano.
Quasi come me, che ho cercato, e cerco ancora oggi nel mio lavoro, di fare bene e fare del bene seduto ad un tavolino, oppure appoggiato al ripiano dello scrittoio.
Ho preso l'abitudine di non meravigliarmi più di nulla, soltanto di me stesso.
Tuttavia vorrei perdere il vizio di giudicare troppo gli altri.
Uomo professo la mia eterosessualità. Non indago nelle mutande altrui, né l'altrui libidine. Pretendo che neppure la mia venga posta sotto processo, in particolar modo quando questa, abbandonata ogni ragione, decida di lanciarsi verso qualsiasi desiderio capace di eccitarla.
Ritengo il matrimonio solo un negozio giuridico. Ho fede nell'amore reciproco.
La famiglia prima che tradizionale dovrebbe essere vera.
A trentaquattro anni vedo il mio paese e la mia città in agonia e prossimi alla morte.
Vedo pure tanti salvatori della patria, ai quali non basteranno cento vite per vergognarsi sufficientemente della loro ipocrisia.
A trentaquattro anni vedo i bei barbari bianchi che avanzano.
Sono convinto che Rachel, molto più pratica e risoluta, se li scoperebbe tutti.
Non intreccio acrostici dorati. Per quel che posso, prima di coricarmi, la sera leggo ancora qualche verso di Properzio, mentre in una piccola decadenza finisce un piccolo impero.
Salve, divina Rachel ! Sorridi anche per noi serena ed impudica !
Cori di luci (forse rosse) cantino il tuo nome sempre glorioso, lassù dove non soffiano le tempeste della morale, né pioggia o neve di pregiudizi turbano la tua santa quiete.
Lassù dove il cielo è puro e in eterno limpido di sole.