nos patriae finis et dulcia linquimus arva

nos patriae finis et dulcia linquimus arva

domenica 26 luglio 2015

Ab Urbe Condita MMDCCLXVIII


L'idea di modificare la numerazione nella toponomastica stradale, dai numeri romani a quelli arabi o
alle lettere estese, mi sembra solo una frivolezza.
Ma fa rumore, più di quanto ci aspetteremmo, perché è una frivolezza pronunciata al capezzale di una città morente. Quando si prende a scherzare nel mezzo di un contesto serio, se non per alcuni aspetti tragico, poche volte si ottiene un risultato diverso dalla stridente assurdità.
Dal Campidoglio hanno fatto già sapere che la delibera ottempera ad una direttiva dell'Istat, e che la modifica non riguarderà le targhe viarie esistenti, ma solo i nomi nelle banche dati del Comune di Roma.
Tuttavia la scelta di semplificazione, apparente, è l'ennesimo tributo che il nostro paese deve pagare alla sua ignoranza. L'ignoranza non è certo una colpa, ma resta ad ogni modo un male. 
Ed il male si combatte, non si incoraggia. Cedere all'ignoranza per semplificare, per omologare tutto al comune sentire, anche le piccole cose, è la via più breve perché il comune sentire diventi un cattivo sentire, un sentire inconsapevole e cieco. 
Quanti ragazzi di fronte alla dicitura "Pio IX" leggono e leggeranno "Pio ics" ? E noi dovremmo rassicurarli che non c'è necessità di emendare l'errore perché non c'è più necessità di conoscere la corretta dicitura ?
Vorrei vivere in un paese dove l'asticella culturale, già tenuta ferma a livelli molto bassi, non giunga a toccare completamente il suolo.
All'origine della diseguaglianza sociale sta pure la rinuncia alla conoscenza, una rinuncia indotta e condizionata da forme alternative e distrattive di pseudocultura.

Se davvero si vuole educare il popolo (io preferisco parlare di uomini) bisogna offrirgli non solo cultura, e strumenti adeguati per decifrarla, ma anche una giusta motivazione che promuova l'intero processo di apprendimento.

Del resto so bene che spesso non basta una sola vita per imparare. 
E che i sepolcri, altrettanto spesso, sono luoghi pieni di saviezza. 

giovedì 23 luglio 2015

Credo


Rachel Marie Oberlin, meglio conosciuta con il nome di Bree Olson.
Nel 2011, a venticinque anni, ha lasciato definitivamente il mondo del porno, dopo aver girato oltre un centinaio di film: un lavoro, affermava Rachel, assai più divertente di altri.
Un lavoro, io credo, o si prova a farlo bene, anche divertendosi, o non lo si fa per niente. E quel poco o tanto di bene che poteva esserci nel suo lavoro Rachel lo ha compiuto sdraiata su un materasso o sopra un divano.
Quasi come me, che ho cercato, e cerco ancora oggi nel mio lavoro, di fare bene e fare del bene seduto ad un tavolino, oppure appoggiato al ripiano dello scrittoio.
Ho preso l'abitudine di non meravigliarmi più di nulla, soltanto di me stesso.
Tuttavia vorrei perdere il vizio di giudicare troppo gli altri.
Uomo professo la mia eterosessualità. Non indago nelle mutande altrui, né l'altrui libidine. Pretendo che neppure la mia venga posta sotto processo, in particolar modo quando questa, abbandonata ogni ragione, decida di lanciarsi verso qualsiasi desiderio capace di eccitarla.
Ritengo il matrimonio solo un negozio giuridico. Ho fede nell'amore reciproco.
La famiglia prima che tradizionale dovrebbe essere vera.
A trentaquattro anni vedo il mio paese e la mia città in agonia e prossimi alla morte.
Vedo pure tanti salvatori della patria, ai quali non basteranno cento vite per vergognarsi sufficientemente della loro ipocrisia.
A trentaquattro anni vedo i bei barbari bianchi che avanzano.
Sono convinto che Rachel, molto più pratica e risoluta, se li scoperebbe tutti.
Non intreccio acrostici dorati. Per quel che posso, prima di coricarmi, la sera leggo ancora qualche verso di Properzio, mentre in una piccola decadenza finisce un piccolo impero.
Salve, divina Rachel ! Sorridi anche per noi serena ed impudica !
Cori di luci (forse rosse) cantino il tuo nome sempre glorioso, lassù dove non soffiano le tempeste della morale, né pioggia o neve di pregiudizi turbano la tua santa quiete.
Lassù dove il cielo è puro e in eterno limpido di sole.